«Branchie» era ambientato in parte nelle fogne di New Delhi, la scena madre di «Che la festa cominci» si svolge nelle catacombe di Villa Ada, in «Io non ho paura» (che compie vent’anni) c’è una prigione, in «Io e te» una cantina, in «Anna» (di cui in primavera uscirà la serie tv) una claustrofobica pandemia. Ne parliamo con l’autore, Niccolò Ammaniti
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Uomini, tremate Lisistrata è tornata
La commedia greca di Aristofane arriva in una nuova traduzione. Perché lo sciopero delle donne ha ancora qualcosa da insegnarci
Vietnam, Wall Street, JFK la passione di Oliver Stone per i lati oscuri dell’America
Tre premi Oscar e molte polemiche
Il nesso invisibile tra benessere dei lavoratori e valore delle imprese
È ancora troppo diffusa la cultura secondo cui per rendere un lavoratore soddisfatto, per valorizzare i suoi bisogni di finalità, utilità sociale e appartenenza, si debbano sostenere costi e non, invece, fare investimenti
Basta pendolarismo, tornare a lavorare nei borghi porterebbe benessere e produttività
L'Italia ha una ricchezza diffusa fatta di luoghi bellissimi, ricchi di storia, tradizioni, relazioni. L'opportunità di consentire a tanti lavoratori la riconquista di tali spazi rappresenta una opportunità unica
Dürrenmatt e il caso
La vita è un concatenarsi di eventi talmente misterioso da risultare imperscrutabile: dalla letteratura al teatro, la parabola creativa di Friedrich Dürrenmatt è stata una delle più significative (e personali) del secondo Novecento
Annie Ernaux: “La pandemia porterà a una resa dei conti nella nostra società”
Annie Ernaux, una delle voci più autorevoli del panorama letterario internazionale, pone una riflessione profonda sulla vita di coppia: “L’amore di coppia brandito come un’arma per negare le disuguaglianze tra uomo e donna.”
Il problema è chi mette i libri all’indice
I deliri americani della «cancel culture» contro Omero, Shakespeare e Mark Twain
Le tragedie non si cancellano Ma un sorriso può aiutarci
Si possono raccontare le storie degli ebrei costretti a esibirsi peri nazisti nei lager; si può fare una battuta al funerale del proprio padre per alleggerire la tensione; si può prendere in giro l’ansia da distanziamento brandendo un metro. Lo hanno fatto — e ne discutono — Federico Baccomo, lo scrittore che narra quei terribili cabaret nei campi di concentramento, e Claudio Bisio, l’attore di Zelig e di 50 film (compreso «Mediterraneo» premiato con l’Oscar). Perché la comicità è anche un modo per le vittime di elaborare il dolore, perché quando il mondo è nel caos un sorriso serve a prendere le distanze, perché chi ha sofferto può denunciare così l’assurdità vissuta. «Esorcizzare vuole dire andare avanti»
Per ridere ci vuole coraggio
Si può ridere del dolore? Della tragedia? Del Covid (come hanno fatto i social in questi mesi)? Abbiamo riso delle guerre, delle carestie, dei migranti. Della miseria e persino dei lager. Una formidabile battuta di Woody Allen dice: ogni volta che ascolto Wagner sento l’impulso di invadere la Polonia. Dunque sì, si può. Talvolta si deve. Perché chi ride dubita, chi ride è democratico, chi ride partecipa.