Perché non sono nata coniglio. Lydia Franceschi in ricordo di Roberto – Elisabetta Favale da “Linkiesta”

Perché non sono nata coniglio

Una storia privata che raccontando una lotta collettiva lega il Novecento a oggi

La mia lettura

Ecco dunque che Lydia nacque non proprio sotto una buona stella, Perché non sono nata coniglio era la frase che le sussurrava sempre suo padre fin da piccolissima, soffriva al pensiero di averla messa al mondo, innocente, senza madre e con un padre che sapeva di non avere un destino tanto migliore della moglie.

Gli autori di N23 sono partiti presentandoci la famiglia di Lydia Franceschi, moglie di Mario e mamma di Roberto e Cristina Franceschi, donna nata per lottare, per provare a portare avanti gli ideali di giustizia civile dei suoi genitori e di quel figlio che, giovanissimo, lo Stato le ha strappato, Roberto.

“La giustizia è una bellezza strabica, promette verità che spesso fa fatica a conoscere, perché si affida alle ricostruzioni degli uomini, non è una verità incarnata”.

Il fulcro vero di questo libro scritto da 23 persone diverse, che hanno avuto come leva l’affetto per la famiglia, il desiderio di far conoscere i fatti e soprattutto di non permettere che si dimenticasse ciò che è accaduto, è la morte di Roberto Franceschi, avvenuta davanti all’Università Bocconi di Milano il 23 gennaio del 1973.

Roberto, al pari della mamma Lydia, era un giovane animato dalla passione per la politica, concentrato sui temi della giustizia sociale, nonostante fosse giovanissimo si era distinto fin dal liceo nell’ambito del Movimento Studentesco, organizzazione politica della sinistra extraparlamentare, la sua militanza era una militanza “consapevole”, supportata dallo studio e dall’approfondimento culturale.

La fatidica notte del 23 gennaio 1973, prese parte allo sciopero nazionale studentesco organizzato dai gruppi della sinistra extraparlamentare, davanti alla sede della Bocconi (il movimento era molto radicato nell’Università), oltre agli studenti c’era anche la polizia, era stato il Rettore dell’Università a chiamarla per paura di tafferugli.

Tra gli studenti a manifestare anche operai e altri studenti non iscritti alla Bocconi, lo scontro si animò immediatamente, quando i non iscritti all’Università vennero allontanati, fu allora che gli agenti del III Reparto Celere reagirono, furono sparati colpi e uno colpì alla nuca Roberto che non sopravvisse.

In Perché non sono nata coniglio si ripercorrono tutti gli eventi, i processi, i depistaggi:

“Col sangue di Roberto ancora fresco sul marciapiede erano già in atto, come una consuetudine, le manomissioni e i depistaggi. Una schiera di bugie divise per gradi e conoscenza parziale dei fatti, così che nessuno potesse sapere precisamente la menzogna altrui. Una mano spara, tutti la proteggono: lo chiamano spirito di corpo. A ciascuno un pezzetto”.

La morte di Roberto fu per la sua famiglia un dolore comprensibilmente devastante, cambiò definitivamente la loro vita. Mario Franceschi, allora dirigente Eni, dopo vent’anni di carriera non fu più ritenuto in grado di svolgere con serenità il proprio lavoro, era oramai “Quello del figlio ammazzato”, il figlio che aveva avuto un funerale civile e non religioso, un funerale con troppi pugni alzati anche per la “civilissima” Eni, anche per Lydia (preside di una scuola) le difficoltà furono le stesse, lei più del marito, era quella da cui il figlio aveva ereditato l’amore e la passione per la politica.

Numerose testimonianze accompagnano citazioni di articoli di giornali, stralci dei processi, lettere scritte a Lydia e da Lydia, belle le pagine in cui si rievocano anche i fatti di Brescia perché la bomba di Piazza della Loggia esplose il 28 maggio del 1974, Roberto era morto da un anno e Lydia volle presentarsi a Brescia per i funerali con uno striscione che aveva portato a scuola il precedente 25 aprile, c’era scritto ORA E SEMPRE RESISTENZA. Nonostante gli applausi che accompagnarono la vista dello striscione, ci fu anche chi ritenne fosse poco opportuno che si fosse presentata in quella circostanza.

“Uccidere un comunista non è reato”, così scrissero sui muri della scuola dove lavorava Lydia …

La storia di Roberto quindi si intreccia con altre storie, la “resistenza” della famiglia Franceschi non è mai venuta meno, hanno resistito a tutti i colpi che perfino al giustizia ha inferto loro facendoli sentire “sbagliati”, loro che avevano perso tanto e che hanno impiegato più di 20 anni per arrivare a mettere un punto sulla vicenda e con l’assoluzione dei poliziotti per insufficienza di prove (solo la sentenza del processo civile contro il Ministero dell’Interno ha portato ad una vittoria della famiglia, il Ministero è stato condannato per l’uso delle armi da parte degli agenti senza legittimi presupposti) . Nel 1995, l’anno in cui Lydia va in pensione, viene costituita la Fondazione Roberto Franceschi che porta avanti numerose attività che potete approfondire QUI.

Un libro toccante, una storia quella di Roberto e della sua famiglia da conoscere e non dimenticare.

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