Prendere la parola, con la ricerca sociale: un’esperienza che suggerisce un modo nuovo di fare scuola

Alcune considerazioni da parte dei docenti dell’Istituto Artemisia Gentileschi sull’incontro tra scuola e ricerca sociale sperimentato con il progetto promosso da Fondazione Roberto Franceschi Onlus e patrocinato da Fondazione Cariplo

La Fondazione Roberto Franceschi Onlus ha sperimentato presso l’Istituto Artemia Gentileschi di Milano il progetto Prendere la parola, con la ricerca sociale. L’attività, volta a promuovere percorsi formativi basati sulla trasmissione dei rudimenti della ricerca sociale tra studenti della scuola secondaria, si è svolta dal mese di ottobre 2019 alla data di interruzione delle lezioni per l’epidemia COVID-19. In un testo pubblicato in questo sito, i ricercatori impegnati nel progetto, Simone Cremaschi, Jacopo Lareno Faccini, Valentina Rotondi e Giacomo Battiston, hanno reso conto in modo accurato della struttura e della finalità del percorso svolto.

Dato il rilievo della sperimentazione, ci si permetta di aggiungere alcune riflessioni di carattere generale, rinviando al testo già pubblicato chi fosse interessato ai contenuti emersi dal lavoro degli studenti. Il progetto ha coinvolto due classi, la 3D linguistico e la 4C turistico, e una ristretta cerchia di docenti. Agli studenti è stato proposto di riflettere sull’origine e la genesi delle diseguaglianze sociali, senza suggerire alcun contenuto specifico. Si era ancora lontani sia dal COVID sia dalle recenti mobilitazioni contro le discriminazioni e in favore dei diritti seguite all’omicidio di George Floyd. Era insomma possibile non condizionare con grandi temi calati dall’alto le istanze degli studenti e rifarsi piuttosto alla loro quotidianità, a quella zona grigia del vivere irriflesso in cui tutti siamo generalmente immersi.

Posta la questione generale è stata avviata una conversazione guidata sulla nozione di diseguaglianza, intesa a sviscerarne alcuni aspetti non immediatamente percepibili. Rilevante ci pare la scelta preliminare di insistere sulle pratiche di “diseguaglianza”, vale a dire di porre il problema in termini negativi e non positivi: non “cos’è l’eguaglianza”, ma “dove si annida la dis-eguaglianza”. Questa prospettiva sollecita immediatamente uno sguardo critico, piuttosto che affermativo. Per sostenere la messa a fuoco delle esperienze personali, sono stati tuttavia proposti alcuni esempi e utilizzati diversi materiali volti a orientare lo sguardo e a mostrare come le percezioni di ciò che è giusto o sbagliato, uguale o diverso, variano nel tempo e nello spazio in funzione dei diversi contesti sociali. L’orientamento è pertanto valso da guida metodologica senza l’imposizione di contenuti speciali. Istanza critica, esperienza sociale concreta, selezione delle opinioni sulla base di un controllo metodico hanno improntato il primo modulo.

Con il secondo, si è entrati nella vera e propria fase di raccolta dei dati utilizzando molteplici approcci: questionari, interviste, osservazioni etnografiche. Gli studenti hanno così sperimentato una pluralità di tecniche d’indagine sulla base di criteri ponderati. Se nella prima fase il presupposto di partenza poggiava sulle esperienze individuali, in questa potevano essere assimilate strategie rigorose di acquisizione delle informazioni. Le opinioni iniziali erano ora comprovate alla luce di dati empirici precisi e tuttavia questi ultimi non si presentavano immediatamente ma richiedevano un previo lavoro di elaborazione delle domande e di formulazione dei questionari. Si invitava così a riflettere sul fatto che il passaggio dal piano soggettivo delle opinioni a quello della validazione intersoggettiva non dipende solo dal supporto di materiali empirici, ma dalla formulazione di ipotesi, teorie e punti di vista che permettono di far emergere i dati stessi. Detto altrimenti, le cose parlano se sono opportunamente interrogate. Con linguaggio diretto gli allievi erano pertanto posti di fronte all’esperienza inedita di come si svolge il processo conoscitivo, in una sorta di ribaltamento rispetto alla didattica comune perché qui le conoscenze dovevano esse costruite e non semplicemente assimilate e rielaborate. Come abbiamo imparato da Giambattista Vico, comprendiamo davvero i plessi storico-sociali quando possiamo farli o rifarli (verum factum convertuntur).

Nel terzo modulo gli studenti avrebbero dovuto elaborare i dati acquisiti per la stesura di documenti finali contenenti gli esiti della ricerca. Era stato anche ipotizzato di condividere, non solo i risultati, ma l’intero percorso formativo con le comunità di riferimento attraverso eventi pubblici di varia natura, mostre, laboratori, discussioni. Purtroppo, l’interruzione delle lezioni e le difficoltà della didattica a distanza non hanno consentito di portare a termine il progetto.

I risultati effettivi del percorso compiuto sono stati opportunamente descritti nel testo pubblicato dai ricercatori della Fondazione Roberto Franceschi, ma si permetta di aggiungere a quelle già presentate alcune considerazioni conclusive.

1. Innovazione culturale. Gli studenti hanno vissuto un’esperienza che si discosta dai curricula tradizionali e risponde a un’esigenza di innovazione culturale. Il dato importante sta nel fatto che l’innovazione non passa per percorsi atti ad acquisire competenze tecniche, tecnologiche o professionalizzanti, ma per il canale della ricerca. È possibile così colmare un vacuum istituzionale giacché ai notevoli, e non sempre nobili, sforzi compiuti dalle istituzioni per integrare la scuola con il mondo del lavoro (alternanza, PCTO) non è stata affiancata la giusta attenzione per l’integrazione della scuola con il mondo dell’alta formazione.

2. Cittadinanza. Le competenze acquisite nel corso del progetto di ricerca sollecitano negli studenti un atteggiamento riflessivo e includente. In democrazie complesse e plurali, la scuola non dovrebbe essere unilateralmente chiamata a fornire competenze professionalizzanti, facili da acquisire in brevi apprendistati, ma all’enorme compito di accrescere la capacità di giudizio e il senso critico, vale a dire di trasformare masse passive e controllabili in cittadini attivi e consapevoli.

3. Ruolo trasformativo. Lo svolgimento del progetto ha sollecitato anche una forma di sensibilità per i temi del quartiere, della città, della comunità. Ci sembra che molti studenti abbiano per la prima volta messo a fuoco non tanto la dimensione comunitaria della loro esistenza, ma la possibilità che ciascuno di loro ha di agire nella comunità e trasformarla.

4. Orizzontalità dell’apprendimento. L’esperienza bifronte, capace di coniugare didattica e ricerca, ha permesso di sperimentare una dimensione orizzontale dell’apprendimento, in cui gli adulti portavano la loro esperienza e i giovani le proprie richieste e i propri bisogni. E gli uni e gli altri potevano, a un dato punto del percorso, scambiarsi i ruoli perché, acquisite le strategie basilari, gli studenti dovevano metterle in atto in proprio, e gli adulti, cui erano rivolte le domande della ricerca, divenivano portatori di bisogni e richieste.

5. Applicazione delle conoscenze. L’interazione tra ricercatori e docenti, ci sembra sia stata produttiva per entrambi. Ha permesso di rompere alcune convenzioni dei due ambiti singolarmente presi. Ha consentito da un lato di mettere alla prova strategie conoscitive nuove nell’ambito della formazione secondaria; ha offerto d’altro lato un terreno fertile di applicazione e interiorizzazione di pratiche di ricerca normalmente circoscritte agli ambiti dell’alta formazione.

Ci auguriamo che l’incontro tra scuola e ricerca sociale da noi sperimentato trovi spazi e tempi di approfondimento opportuni e possa avanzare (perché no?) culminando in un riconoscimento istituzionale. La sollecitazione ultima che questa originale esperienza formativa suggerisce è la possibilità di un rinnovamento del modo di fare scuola capace di modulare i programmi sulla base dei dati fondamentali di civiltà (diritti individuali e sociali). Il passato ha un valore inestimabile se alimenta la coscienza del presente e prepara al futuro, lasciato a se stesso decade in gusto antiquario e ripetizione asfittica.

Molto altro vi sarebbe da dire, ma agli studenti e ai docenti del Gentileschi sta a cuore soprattutto ringraziare Jacopo, Simone e gli altri ricercatori della Fondazione Roberto Franceschi per aver proposto, e condiviso, un momento formativo tanto ricco di indicazioni.

I docenti dell’istituto Artemisia Gentileschi

Per aiutarci a promuovere nelle scuole progetti su Costituzione, diritti, lavoro, puoi destinare il tuo 5×1000 alla Fondazione Roberto Franceschi Onlus scrivendo il codice fiscale 97178950156 nel riquadro del sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale di CU, 730 o UNICO. Clicca qui per saperne di più.

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