Per proteggere rifugiati e richiedenti asilo dall’esclusione sociale, è indispensabile studiare i fattori di rischio

accoglienza di rifugiati

Grazie ai fondi di ricerca Roberto Franceschi, Marco Marinucci, dottorando in Psicologia all’Università di Milano-Bicocca, indagherà i fattori di rischio e di protezione in grado di predire diverse traiettorie di inclusione o esclusione sociale a lungo termine di rifugiati e richiedenti asilo. La sua ricerca permetterà di analizzare le conseguenze psicologiche dell’esclusione sociale e di progettare interventi mirati a offrire sostegno in fase di accoglienza a popolazioni già vittime di gravi violazioni dei diritti umani fondamentali

Fattori di rischio e protezione dall’esclusione sociale cronica nei rifugiati e richiedenti asilo

Negli ultimi due decenni la ricerca in psicologia sociale si è focalizzata ampiamente sullo studio delle conseguenze dell’esclusione sociale a breve e lungo termine. Un vasto corpus di letteratura scientifica ha suggerito come l’essere rifiutati, ignorati, discriminati, isolati da altri gruppi sociali produca un’ampia gamma di effetti negativi sullo stato psico-fisico dell’individuo come emozioni negative, calo dell’autostima, depressione (Williams, 2009; Noh et al., 1999; Ellis et al., 2008), diminuzione delle capacità cognitive (Baumeister et al., 2002), disturbi alimentari (Levine, 2012), rischio di suicidio (Schinka et al., 2012), comportamenti aggressivi (Twenge et al., 2001), riduzione della qualità della vita (Fozdar & Torezani, 2008). A lungo termine, l’esclusione sociale è considerata un fattore di rischio per la mortalità al pari dell’obesità e del fumo (Rubin, 2017).
Per via del loro status, i migranti sono tra i gruppi sociali (insieme ai senza tetto e ai carcerati, ad esempio) maggiormente esposti a fenomeni di esclusione sociale a lungo termine, o cronica. Questo si verifica sia da un punto di vista prettamente sociologico—per via della loro segregazione rispetto al contesto sociale più allargato—che da un punto di vista psicosociale, inclini quindi a sviluppare le conseguenze psicologiche negative croniche derivanti dal rifiuto e l’isolamento da parte degli altri. Ager e Strang (2008) hanno definito un framework concettuale dell’integrazione dei migranti, costituito da diversi domini di integrazione in ordine gerarchico. Secondo gli autori alla base di un esito positivo del processo di integrazione vi sono la cittadinanza e i diritti legali: i rifugiati e i richiedenti asilo dovrebbero avere gli stessi diritti degli altri cittadini per poter dar vita ad una comunità integrata, permettendo un pieno ed equo coinvolgimento all’interno della società. Vi sono poi le connessioni sociali, divise in legami sociali con gruppi più piccoli (come persone dello stesso gruppo etnico, comunità religiose, ecc.), ponti sociali con la comunità ospitante, ovvero la partecipazione condivisa a diverse tipologie di attività (sportive, religiose, politiche, economiche, ecc.) e collegamenti con le istituzioni statali. Gli autori hanno identificato dei facilitatori del processo di integrazione nella conoscenza della lingua della comunità ospitante e nella percezione di sicurezza e stabilità nella comunità e nei rifugiati. Infine nel modello teorico sono presenti anche degli indicatori e mezzi di integrazione, definiti dall’accesso da parte dei rifugiati al mercato del lavoro, dal loro inserimento abitativo in alloggi appropriati, dall’accesso all’istruzione e al sistema sanitario. Le carenze, in diversa misura, nei domini dell’integrazione proposti da Ager e Strang (2008) minacciano il processo di integrazione dei migranti nella società ospitante, dando vita a fenomeni di esclusione che possono facilmente cronicizzarsi, con pesanti ricadute sul benessere psicologico e sulla salute della persona.
In questo quadro, obiettivo del presente lavoro è indentificare fattori di rischio e di protezione in grado di predire diverse traiettorie di inclusione o esclusione sociale a lungo termine. Se da un lato, in presenza di una quantità e qualità sufficienti di connessioni sociali, i migranti possono essere motivati a integrarsi in un dato contesto sociale, dall’altro, a fronte dell’assenza di relazioni significative per un lungo periodo di tempo, possono approdare a comportamenti di autoisolamento e aggressività verso gli altri, in particolare i membri delle comunità ospitanti. La conoscenza dei fattori di protezione e rischio sia disposizionali (legati a fattori relativamente stabili di personalità) che situazionali che conducono all’una o all’altra traiettoria consentirebbe di realizzare interventi psicosociali finalizzati a massimizzare le possibilità di integrazione sociale dei rifugiati e richiedenti asilo. Uno sguardo d’insieme sul sistema di accoglienza in Italia è utile per poter comprendere appieno le finalità e i metodi dello studio, nonché per sottolineare i rischi di esclusione sociale cui sono esposti rifugiati e richiedenti asilo all’interno delle procedure di accoglienza italiane.

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