La parola ai nostri ricercatori: Giulia Di Donato – Perché occorre studiare salute e lavoro in ottica di genere

Giulia Di Donato

Proseguono le interviste per raccontarvi, a distanza di anni, di che cosa si occupano gli studiosi premiati dalla Fondazione, che oggi compongono la rete di ricercatori e professionisti del Network Roberto Franceschi. Questa volta risponde alle nostre domande Giulia Di Donato, attualmente responsabile della comunicazione e dei progetti presso l’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna

Cara Giulia, dopo esserti laureata in Economia e Management delle Amministrazioni Pubbliche e delle Istituzioni Internazionali presso l’Università Bocconi nel 2009, hai ricevuto dalla nostra Fondazione il premio Roberto Franceschi. Ricordi che cosa hai provato e se, prima di scoprire il bando, conoscessi già la storia di Roberto, studente nella tua stessa Università una trentina d’anni prima?

Vincere il premio Roberto Franceschi è stato molto importante per me sia a livello personale, condividendo profondamente i valori della Fondazione, sia dal punto di vista professionale, come riconoscimento del lavoro di ricerca svolto durante la tesi. Conoscevo la storia di Roberto Franceschi da prima di entrare in Bocconi, sono convinta in tal senso che dovrebbe esserci un maggiore sforzo di sensibilizzazione da parte dell’Università verso gli studenti sui temi trattati dalla Fondazione come l’emarginazione e le disuguaglianze.

La tesi per cui hai ricevuto il premio si intitola “Gender Medicine: indicatori di gestione”. In che senso, secondo te, esaminare in ottica di genere le politiche pubbliche in ambito sanitario può contribuire a ridurre le disuguaglianze tra donne e uomini?

La medicina tradizionale ha subito dagli anni ’90 una profonda evoluzione superando la tradizionale impostazione androcentrica che relegava gli interessi per la salute femminile ai soli aspetti riproduttivi: si è compreso che studiare l’impatto del genere e di tutte le variabili che lo caratterizzano sui meccanismi eziopatogenetici e sugli aspetti clinici delle malattie consente un miglior approccio diagnostico e terapeutico. Le donne vivono più a lungo degli uomini, ma si ammalano di più in età avanzata anche a causa di fattori socio culturali propri dello stile di vita femminile; sono le donne, infatti, le maggiori consumatrici di farmaci e fruitrici del Sistema Sanitario Nazionale, pur registrandosi negli ultimi anni una contrazione nel numero dei ricoveri “rosa”. Evidenziare le problematiche di salute femminile contribuisce a sensibilizzare le Istituzioni per una migliore pianificazione degli interventi, dei servizi e delle strategie preventive, ma ha soprattutto un ruolo fondamentale nel rendere le donne protagoniste della loro salute e sempre più consapevoli che solo una corretta informazione consente di affrontare i problemi di salute con gli strumenti migliori.

Che posizione ricopri attualmente e di cosa ti occupi? Pensi che ricevere il premio abbia influenzato le tue scelte di vita e professionali?

Attualmente sono la responsabile della comunicazione e dei progetti presso l’Osservatorio Nazionale sulla salute della Donna. Credo che la vincita del premio abbia rafforzato in me la convinzione di voler lavorare nella ricerca sociale.

Come sai, la nostra Fondazione è attiva nel settore della ricerca scientifica di particolare interesse sociale, principalmente nell’ambito della prevenzione, diagnosi e cura di patologie sociali e forme di emarginazione sociale. A tuo parere, quali problematiche, tra i fattori di rischio di esclusione sociale, sono meritevoli di studio e di riflessione in modo più approfondito di quanto avvenga oggi nel mondo della ricerca e delle istituzioni?

Forse per deformazione professionale uno degli ambiti in cui credo si debba fare una riflessione più approfondita, seguita dall’attuazione di azioni concrete, sia il rapporto donna e mondo del lavoro. L’Italia, infatti, rappresenta il fanalino di coda dell’Europa in fatto di pari opportunità: secondo il Global Gender Gap Report del 2013, lo studio del World Economic Forum sulle diversità tra uomini e donne sul lavoro, l’Italia occupa solo il 71° posto nel mondo, con stipendi per le donne inferiori a quelli degli uomini e pochi ruoli di potere. Mettendo a confronto i dati europei con quelli riguardanti la situazione italiana elaborati dal CENSIS sui dati forniti dall’ISTAT, si registrano però segnali di crescita della componente femminile nei diversi contesti sociali, ma associati a dati contraddittori che evidenziano situazioni di esclusione sociale e lavorativa a scapito delle donne, soprattutto dall’ambito della rappresentanza politica e del governo economico, oltre che dalle aree a forte connotazione tecnologica. Uno dei fattori che risulta avere la maggiore incidenza sulle differenze tra generi, è ancora il ruolo di cura svolto dalle donne all’interno della famiglia. La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia è dovuta principalmente a fattori quali la scarsa disponibilità di asili nido, di strutture di supporto alle famiglie, ma anche e soprattutto alle aspettative di occupazione e di retribuzione troppo penalizzanti. Le donne europee guadagnano in media il 15% in meno degli uomini: quelle italiane il 16% in meno rispetto ai colleghi. Inoltre la cosiddetta leadership femminile vale solo il 4% e ci posiziona in coda alla classifica europea, staccati anche da Bulgaria e Romania (12% ciascuna). Nonostante questi dati purtroppo ancora oggi le problematiche legate alle differenze tra uomini e donne vengono nella maggior parte dei casi ignorate dalle politiche, dalle strategie e dagli interventi, se non per motivi propagandistici.

Ecco inoltre la riflessione sul significato del premio Franceschi che Giulia ha voluto condividere in occasione del 40° anniversario dell’uccisione di Roberto – 23 gennaio 2013

Questo premio non rappresenta per me soltanto un riconoscimento del lavoro svolto ma il ricongiungimento di un cerchio che dà valore e significato ai racconti di quegli anni difficili e dolorosi.
Roberto per me non è un semplice nome su una targa, fa parte del mio vissuto. Lo ritrovo ogni giorno nella quotidianità degli insegnamenti che mi hanno trasmesso i miei genitori: uguaglianza, emancipazione, solidarietà.
Se mi chiedessero se tutto quello che è successo ha un senso e se, nonostante la sofferenza vissuta e affrontata, valga la pena lottare per i propri ideali, potrei solo unicamente rispondere che, se così non fosse, io non sarei qui oggi.
Mia madre mi ha sempre ripetuto che bisogna stare attenti a quello che si desidera perché nel momento in cui lo si ottiene bisogna essere in grado di gestirlo. Vincere questo premio è un dono, un seme da coltivare ogni giorno, che racchiude in sé una grande responsabilità verso la memoria di Roberto: la missione di non dimenticare e combattere ogni giorno, impegnandoci nel nostro piccolo per costruire una società libera, giusta e equa. Perché ne valga la pena anche domani.

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