Mobilità precarie. Spazio-tempo e la sfida dell’accessibilità in due città metropolitane europee

Lione traffico perturbato

La condizione di precarietà lavorativa si associa a un aumento dei bisogni di mobilità urbana per l’accesso al lavoro e il raggiungimento di beni e servizi economici o gratuiti, incidendo al contempo sulle possibilità di sostenere i costi della mobilità. Questo è uno dei paradossi analizzati dal giovane sociologo Luca Daconto nella ricerca svolta a Milano e Lione grazie al nostro programma Young Professional Grant, di cui vi presentiamo una sintesi dei risultati.

La capacità delle persone a raggiungere opportunità, beni, servizi e relazioni è messa in questione dai cambiamenti avvenuti nella morfologia spaziale e nell’organizzazione temporale delle società contemporanee. Da un punto di vista spaziale, il decentramento tra residenze e luoghi in cui svolgere attività ha avuto come effetto di aumentare la domanda di mobilità per connettere i vari ambiti di vita quotidiana – abitazione, lavoro, consumo, tempo libero. Considerando la dimensione temporale, l’accelerazione e la relativa desincronizzazione dei ritmi di vita si lega alla formazione di bisogni di accesso, anche in orari notturni, e a diversi gradi di sovranità temporale, di tempo che gli individui possono dedicare allo svolgimento di attività. Inoltre, se l’accesso alle opportunità è strettamente legato alla mobilità, nella città contemporanea è anche altamente dipendente dall’automobile, vista l’inadeguatezza dei servizi di trasporto pubblico nel soddisfare una domanda di mobilità asistematica. Questi cambiamenti hanno contribuito a rendere l’accesso alle opportunità, ai servizi e alle reti sociali, un’importante sfida per l’inclusione degli individui e dei gruppi sociali nelle società contemporanee e hanno richiamato l’attenzione degli studiosi e dei decisori politici sul tema dell’esclusione legata a difficoltà di spostamento e di mobilità e all’inaccessibilità.
Grazie ai fondi “Young Professional Grant” della Fondazione Roberto Franceschi Onlus e della Fondazione Isacchi Samaja Onlus è stato possibile portare a termine una ricerca di dottorato su questo importante tema, che ha comparato, in due città metropolitane europee (Milano e Lione), l’accesso a una serie di opportunità rilevanti per l’inclusione di un campione di disoccupati e lavoratori precari. L’obiettivo della ricerca è stato duplice. Da un lato, produrre evidenze empiriche su dei processi che la letteratura internazionale identifica come centrali per l’analisi delle odierne forme di vulnerabilità in ambiente urbano e la cui riflessione è ancora a uno stato embrionale in Italia, soprattutto in termini di politiche specifiche. Dall’altro, lo studio aveva l’obiettivo di studiare l’influenza della precarietà sulle capacità di mobilità e di accesso degli individui; in particolare, per comprendere se questa relazione rappresenti un ulteriore elemento di vulnerabilizzazione, che vincola la capacità dei precari di svolgere le attività che ritengono significative. Per raggiungere questi obiettivi, la ricerca si è avvalsa di un approccio metodologico mixed methods, che ha analizzato il complesso intreccio di fattori che determinano l’accesso: in particolare, la distribuzione territoriale dei servizi e delle opportunità, nonché la loro disponibilità temporale; le caratteristiche spazio-temporali dell’offerta di servizi di trasporto e mobilità; le politiche di supporto alla mobilità; la percezione ed esperienza individuale.
I risultati hanno confermato alcune tendenze e processi evidenziati dalla letteratura e mostrato altri significativi scarti. Innanzitutto, a differenza dei contesti urbani anglosassoni – caratterizzati da una marcata desertificazione dell’offerta di servizi e da un accesso altamente dipendente dal possesso dell’automobile – le città metropolitane di Milano e Lione garantiscono un buon accesso ai servizi essenziali, che mantengono l’attributo di prossimità rispetto alle residenze. Questa immagine generale cela, però, problemi d’accesso che riguardano specifiche aree (periurbane), opportunità (culturali e ricreative) e gruppi (giovani) e che sono più legati alla qualità dell’accesso in termini di varietà e densità dell’offerta di servizi. Nonostante questa specificità delle strutture urbane di Milano e Lione, altri fattori intervengono nel costringere la capacità di accesso dei precari. Le difficoltà più rilevanti sono emerse in riferimento all’ambito lavorativo e derivano principalmente dalle caratteristiche spazio-temporali dei posti di lavoro.
Innanzitutto, l’accesso al lavoro in settori centrali dell’economia è altamente dipendente dall’automobile, un fatto che pone in situazione di svantaggio i disoccupati e i precari che non possono fare affidamento sulla disponibilità del mezzo di trasporto motorizzato privato. Nell’industria, nell’edilizia e nella grande distribuzione, ad esempio, i luoghi di lavoro sono spesso localizzati al di fuori delle aree centrali meglio servite dalla rete di trasporto pubblico e l’attività lavorativa si può svolgere in orari atipici, anche notturni, in cui il servizio di trasporto pubblico non è attivo. I lavori nel settore dei servizi alla persona e alle imprese (per esempio educatori, operatori sociali, addetti alle pulizie, agenti di commercio), si caratterizzano invece per un’elevata domanda di (auto)mobilità associata alla necessità di svolgere l’attività lavorativa presso più sedi e, a volte, datori di lavoro.
In questo quadro, i precari che hanno più difficoltà sono quelli che non hanno la patente e l’auto (in molti casi per ragioni finanziarie), per cui l’inclusione nel mercato del lavoro dipende dall’accessibilità garantita dall’offerta di trasporto pubblico e dal muoversi in bicicletta o a piedi. Inoltre, se la disponibilità dell’automobile consente di adattarsi alle esigenze di mobilità legate al lavoro, per alcuni precari essa può trasformarsi in un possesso che la letteratura definisce come “forzato”, poiché costringe a sottrarre i costi legati all’acquisto e mantenimento del veicolo a budget finanziari già precari. In particolare, ciò è emerso per quelle tipologie contrattuali poco protette, in cui l’elevata domanda di mobilità non è contro-bilanciata dal rimborso dei costi sostenuti.
Altre difficoltà di accesso riguardano i precari che lavorano nel campo dell’educazione e del sociale, che rinunciano a svolgere le attività legate al tempo libero, al mantenimento delle reti sociali e, in alcuni casi, alla salute, a causa dell’espansione del tempo produttivo in orari non lavorativi. L’esperienza di questi precari è sintetizzabile attraverso la metafora della “trappola della passione” (Murgia e Poggio 2012), visto che il lavoro rappresenta per questi precari una passione, che coinvolge e a cui si dedica molto tempo, che si trasforma in una passione, intesa come sacrificio di altri tempi quotidiani e rinuncia ad attività non obbligate.
In generale, i risultati confermano l’importanza della mobilità e dell’accessibilità nell’influenzare le possibilità di partecipazione delle persone alla vita economica e sociale di una società. Nel caso dei precari, la centralità della mobilità per l’accesso alle opportunità urbane conduce a un paradosso. Da un lato, infatti, la condizione di precarietà si associa a un aumento dei bisogni di mobilità, che diventa funzionale all’accesso al lavoro e al raggiungimento, per esempio, di beni e servizi economici o gratuiti, come i prodotti dei discount o le mense sociali. Dall’altro, però, la situazione di precarietà costringe le capacità di mobilità e di accesso degli individui. Come già evidenziato, la precarietà economica incide sulle possibilità di sostenere i costi della mobilità; in altri casi il lavoro precario si associa a una colonizzazione del tempo quotidiano e alla rinuncia ad altre attività. Per un gruppo, invece, la disoccupazione di lunga durata riduce l’attitudine alla mobilità e porta a un relativo isolamento relazionale.
I precari rispondono ai vincoli di mobilità e accesso associati alla situazione di precarietà in cui si trovano, negoziando i tempi e gli spazi della vita quotidiana, in base alle proprie preferenze, competenze e alle risorse precarie di cui dispongono. In questo processo, un ruolo importante è giocato dalla protezione assicurata dalle politiche urbane, dei trasporti e sociali. La diversità tra Milano e Lione è in questo caso molto marcata. Rispetto all’Italia e a Milano, il riconoscimento della mobilità e dell’accessibilità come componenti fondamentali dell’inclusione ha portato la Francia e Lione all’adozione di politiche specifiche e a una più estesa protezione della mobilità e dell’accesso delle persone in situazione di precarietà (rimborso delle spese associate alla mobilità lavorativa, autoscuole sociali, noleggio sociale veicoli, programmi di apprendimento alla mobilità). Ciononostante, in entrambe le città metropolitane è emersa una tensione tra il riconoscimento dei bisogni di mobilità e di accesso da parte delle politiche e i reali bisogni espressi dagli intervistati, un fatto che porta a fronteggiare i vincoli, potendo fare affidamento solo sulle risorse individuali, familiari e amicali.
Per prevenire e intervenire su queste forme di vulnerabilizzazione, occorre in primo luogo un più ampio riconoscimento del ruolo che lo spazio-tempo urbano esercita, insieme ad altri fattori, sulle possibilità di inclusione degli individui e dei gruppi sociali, innanzitutto nel mercato del lavoro. La costruzione di città più giuste e inclusive, perché più accessibili, passa innanzitutto da una pianificazione che integri politiche troppo spesso settoriali, come quelle urbanistiche, dei trasporti, dei tempi, abitative, del lavoro. La sfida dell’accessibilità, inoltre, implica soprattutto volgere lo sguardo alle persone e sviluppare la loro capacità di appropriarsi delle opportunità offerte dalla città.

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